Nel romanzo in lavorazione, direi quasi in concepimento, a cui mi sto dedicando è inserito un breve reportage narrativo di Pattaya, e dello sfruttamento delle donne ai fini della prostituzione. Tutto il romanzo, in realtà, sarà incentrato sullo sfruttamento della donna, ma ciò che segue può aver senso anche da solo. O forse no.
13.
ovvero il reportage della Thailandia
Dove andare la notte, a Pattaya, per divertirvi? Gran parte della vita e dei locali notturni si concentrano nella zona sud della città, ma “divertirsi” ha una sostanziale variazione semantica di quella, standard, da dizionario della lingua italiana. Qui, nella città del sole e del mare, l’intrattenimento è incentrato completamente sul sesso. Coppie di ragazzi consenzienti? E che c’è di male. C’è che qui, di consenso, neanche l’ombra. I locali di Pattaya fanno a gara per soddisfare una folla di turisti, composta principalmente da uomini single, che troveranno non solo fiumi di alcolici e musiche tipiche, ma veri e propri “plotoni” di ragazze pronte ad offrire commercio dei propri corpi. Il turismo sessuale è addirittura considerato un fenomeno naturale, accettato di buon grado dalla comunità locale. I libertini di turno dicono che, finalmente, pregiudizi e preconcetti sono stati sfatati. Credo che una riflessione più attenta al fenomeno non guasterebbe per niente, anzi.
1) Nessuna di queste ragazze ha scelto liberamente di vendere il proprio corpo. Strettamente legato alla prostituzione è il suo sfruttamento, chiamato “lenocinio”, praticato per trarre profitto dall’attività di chi offre il servizio, da parte di persone che generalmente si presentano come protettori, ma si chiamano “magnacci”. Sfruttare una donna, un uomo, un travestito, una transessuale o un transessuale, vendendone il corpo e proponendo in cambio una parte del guadagno ha poco da far gioire i libertini. Qui non c’entra il pregiudizio, o l’essere bigotti, lo sfruttamento che avviene è totale.
2) Anche se avessero scelto di vendere il proprio corpo non lo avrebbero fatto “liberamente”. Osservando da vicino questo fenomeno ci si accorge, con sorpresa non eccessiva, che scegliere di vendere qualcosa come lo stesso corpo che ha scelto di vendere qualcosa è circolare: senza senso. Nessuna scelta, in questo contesto, può essere libera. La griglia di possibilità di queste donne – di questi individui – è talmente ridotta che equivale a scegliere una marca di dentifrici quando il supermercato te ne offre solo due, ed una è gravemente dannosa per la salute. La seconda marca di dentifricio, per queste vite offese, si chiama lavoro sottopagato, in certi casi sfruttamento e morte.
3) Alcune delle donne che si prostituiscono a Pattaya assomigliano a delle donne, ma sono delle ragazzine. La prostituzione minorile è il peggiore dei mali, i danni psicologici e corporei a queste anime pie sono irrecuperabili. Andare con una ragazzina, privandola della vita che avrebbe diritto di vivere, è un crimine tra i peggiori.
4) In Thailandia la distinzione classica fra meretrice e prostituta, risalente a Niccolò Tommaseo, decade del tutto. Qui ogni cosa è fatta per il guadagno della malavita organizzata, i due differenti paradigmi esplorati durante la mia tesi di laurea si sciolgono di fronte alla banalità del male.
Questi quattro elementi, soli, non bastano a rendere giustizia a quello che ho visto qui a Pattaya – alla sofferenza che il silenzio di quegli sguardi, che si fingono provocanti, può essere trasmessa. Pattaya non è il paradiso, è un bordello. Quando cala la notte, e le luci della città si fanno colorate di un bianco intenso, alcune immonde sofferenze si consumano nel segno della libido. Talvolta, pensare a come l’uomo si definisca, a come si erga ad essere razionale, quasi diverte in mezzo al pianto, osservando che un organo genitale possa completamente sostituirsi al cervello. Ma nulla è davvero fisiologico in tutto questo. Alcuni complessi meccanismi di oppressione si mescolano tra di loro – il maschilismo li domina con solerte eleganza, e nell’omertà. Se siete uomini, trovare una prostituta è davvero semplice, se siete donne, non è difficile. Capite bene, “davvero semplice” e “non è difficile”, sono cose assai diversa. La donna è lo sfruttato per eccellenza, l’assolutamente altro dall’uomo che si avvicina all’animalità, alla natura: al diverso. Nulla è più normale in una pratica come la prostituzione, e la degenerazione ha seguito delle tappe storiche ben precise. Nella società greca antica esisteva sia la prostituzione femminile che quella maschile. Le prostitute, che vestivano con abito distintivo e pagavano le tasse, potevano essere indipendenti ed erano donne influenti; la prostituta colta e di alto ceto era definita etera. Ma poi, come sempre, ogni pratica che conserva in seno una serpe finisce per svelarla e la violenza, seppur mascherata da cultura, rimane sempre violenza.
L’afa è stata il sudario migliore, qui in Thailandia, dove i labirinti continuavano ad alternarsi alla sottile linea del mio autocontrollo. Il diavolo continuava ad aggirarsi per i suoi corridoi alla faticosa ricerca di un brandello di buio, dove un minuscolo patio conservasse ciò che resta della verginità di quel massacro. Reggeva sulle spalle un sacco, il diavolo, con sogni di gloria e speranze di libertà. Sbucò poi in una stanza ampia, di cui non prevedeva il bagliore, dove c’erano affreschi di animali umani e non umani – figure leggiadre che recavano serenità anche a quell’angelo di morte. Le sua ali diedero un colpo forte all’imbrunire, ed ancora una volta il tutto si oscurò lasciando sole loro, le lucciole, che eseguivano una danza mesta di coribanti. Il terrore stava adesso seduto, calmo, al centro del nero che aveva contribuito a creare. Dagli enormi occhi, quasi bovini, scendeva ora una lacrima a bagnare il petto con le ali ricurve su se stesse. In quella lacrima, in quel vacillare di umanità, risiede la nostra speranza di cambiare le cose. Qualcosa che chiama da lontano, dagli abissi di questa terra – ed io lo percepisco chiaramente. Feroce, e inesorabile, arriva il rilievo dei margini dei diritti umani. Un sibilo impostore che grida in silenzio un fallimento, e tutto comincia ad ondeggiare nella marea di quella vita passata: un solco fatto di punti e di linee. L’equilibrio delle mie gambe si fa labile, le risate di quegli uomini ricchi, e di quelle ragazze costrette, getta il cuore a ruzzolare sul pavimento e il mio respiro, si rende cavernoso. Sono adesso, in questa terra dove la sofferenza di un nome a voi non noto, “Afta”, si è fatto atomo meschino e solitario, sballottato dagli alveoli della normalità attraverso cui sospira l’interno di questa società: premete forte le vostre tempie, e divorate tutto intorno. Tutto ribolle qui a Pattaya, fate buon viaggio.