Scritti Inediti: periodico di letteratura e arte inedite ha pubblicato un mio racconto, si chiama “Narrare la morte, la propria”. Era stato scritto, originariamente, per il Corriere.it, e comincia così.
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Proprio li, in mezzo al percorso, l’uomo vestito di bianco ci guarda fissi negli occhi.
Marco trema come non aveva mai tremato …
Un enorme boato, una fucilata dritta al petto, la luce si fa sempre più soffusa, la penna cade per terra ed io mi svuoto di ogni parola, perdendomi un bianco definitivo che mai, proprio mai, verrà riempito dall’uomo…
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Eccola, la morte … l’uomo vestito di bianco ha colpito al centro ciò che resta ed io, sanguinante sul balcone, sto per svanire nel nulla come se non avessi mai calpestato suolo su questo pianeta.
L’uomo, vestito sempre più bianco, sorride e tutti li, guardando con occhi d’ispezione, gioiscono per quanto sta accadendo di fronte a loro, felici per un’esistenza che termina il suo viaggio terreno. Ho amato la vita come pochi riuscirebbero a fare. Sono stato viaggiatore ed eremita, saggio ed incosciente, amato ed amante … ho letto ed ho scritto tanto ed enorme è ciò che lascio a voi lettori. Io, mi dico tra me e me mentre il pensiero si fa sempre più labile, sarò eterno, ma di un eterno di quelli che resta nelle coscienze d’ogni uomo colto, ed interessato alle cose più splendide dell’uomo. Le mie opere, il mio diario, saranno letti anche quando di me non resterà che la polvere, quella stessa polvere che avvolgeva il cielo di Napoli quand’ero solo un bambino e mio zio mi spiegava cosa fosse, quella cenere del vulcano, già allora mi insegnava come fosse il nero, l’oscuro del mondo, ciò che prevale nelle cose della natura e dello spirito. Anche adesso muoio per mano del male velato, travestito di un bianco che non gli appartiene, moralizzante di un genio incompreso, stigmatizzato dal mondo e dalla società come un prodotto da comprare, ancor prima di capire.
2 risposte a “Un racconto”
Bellissimo racconto. Complimenti!
C’è tutto ciò che mi interessa: l’antispecismo, la solitudine ed il disagio di chi fatica a comprendere ed a ritrovarsi nelle convenzioni e schematismi sociali, la prigione mentale – invisibile – di chi pensa di essere soggetto della propria vita mentre invece è solo un manichino manipolato dalle sovrastrutture culturali, la prigione – quella vera – di chi viene giudicato frettolosamente “diverso”, quindi folle, quindi matto, e poi le riflessioni sull’attesa della morte e sullo spreco dell’esistenze di chi crede che il male siano il dolore e la morte, mentre invece, citando un noto scrittore (Bukowski) “il male è la vita che la gente non vive”; e poi ancora, soprattutto, questo immenso potere che abbiamo di compiere delle scelte di valore e che, troppo spesso, gettiamo via come fosse spazzatura.
I tuoi racconti mi coinvolgono sempre molto.
Grazie Rita, grazie davvero.