RECENSIONE A: LA VITA CHE VERRÀ. BIOPOLITICA PER HOMO SAPIENS – F. CIMATTI, OMBRECORTE – 2011.

Mia recensione apparsa su “lettera internazionale” n°111 – I Trimestre 2012

Meglio soli o male accompagnati? La domanda non è soltanto un comune modo di dire, ma uno dei principali problemi della storia del pensiero scientifico e filosofico. Se aveste incrociato Thomas Hobbes, ad esempio, vi avrebbe risposto che il linea di principio è meglio stare ognuno per conto proprio ma che, visto il rischio di venire ammazzati dal più violento che c’è in giro (il più lupo tra gli homini lupus), allora è bene unirsi andando contro la propria natura. Senza forzature possiamo definire La vita che verrà di Felice Cimatti, filosofo della mente e dell’animalità, un manifesto contro la teoria del solipsismo di Hobbes. A partire da una fondamentale (e molto tecnica) distinzione tra I-language ed E-language – ovvero, semplificando molto, tra linguaggio inteso nella sua dimensione genotipica o in quella fenotipica – Cimatti riprende una classica diatriba tra sostenitori del linguaggio come istinto/modulo, tipicamente Chomsky e Pinker (autore, infatti, del celebre L’istinto del linguaggio), e pensatori convinti della matrice profondamente sociale del linguaggio umano (che hanno dalla loro parte un celebre studio sul gene FOXP2). Cimatti, schierato apertamente con i secondi, non vuole certo sostenere che il linguaggio non sia istintuale quanto, piuttosto, argomentare in favore della necessità di un ambiente linguistico e culturale in cui questo istinto può trovare compimento. Ok, ma cosa c’entra Hobbes con questi tecnicismi di linguistica? Molto, inaspettatamente. La mossa argomentativa di Cimatti risiede, in primo luogo, nel legare linguaggio e natura umana e, in secondo luogo, e qui sta il divario rispetto ai classici studi chomskiani, nell’individuazione della socialità (ambiente linguistico) come imprescindibile luogo per un corretto sviluppo di questa natura. A questo punto, si sarà capito, casca l’asino di Hobbes. Il filosofo del Leviatano, infatti, sosteneva che l’uomo è «naturalmente nemico» degli altri uomini (tesi che, secondo Cimatti, è sostanzialmente invariata entro la moderna psicologia evoluzionistica), e che dunque la socialità fosse solo frutto di un contratto stipulato a tavolino in cui, unico ed indispensabile elemento, fosse un calcolo di vantaggi e svantaggi in cui i primi risultassero vincitori. Ma se l’unico modo che abbiamo – per diventare degni esponenti della specie Homo Sapiens – è vivere in ambiente linguisticamente stimolante allora è dell’altro che dipende la vita del singolo. Incastrato questo fondamentale tassello del puzzle filosofico, a Cimatti non resta che riprendere alcuni suoi studi teorici esposti nel precedente Naturalmente comunisti (Bruno Mondadori, 2011). Hobbes, secondo Cimatti, con la sua teoria dell’uomo contro l’uomo, altro non è che il paradigma del capitalismo contemporaneo in cui spesso, e (mal) volentieri, l’utile di uno coincide con il dannoso per l’altro. Esempio ricorrente è quello dei fatti sociali: creati dall’uomo per meglio gestire le faccende umane, sono ora oggetti autonomi da cui dipendono le condizioni, troppe volte misere, in cui versano le vite dei lavoratori. Si pensi al denaro, oggetto sociale analizzato dettagliatamente già da Jhon Searle che, con i suoi spread e le sue crisi, condiziona le nostre scelte politiche, lavorative, ecc. Il guadagno di alcuni, lo sappiamo, può voler dire la povertà di molti. Ma se l’uomo esiste per l’altro uomo, ovvero non esisterebbe come Homo Sapiens se non fosse per gli altri individui, allora possiamo definite sbagliata – contro natura – una forma di governo basata sul capitale, ovvero su un’estensione della filosofia hobbesiana in cui vige ancora un sostanziale homo homini lupus. Cimatti, a questo punto, getta le basi per la vita che verrà (ecco svelato il mistero del titolo): la necessità di una società in cui l’uomo è per ogni altro uomo, dove vige una sana cooperazione e in cui i fatti sociali, creati dell’umano, non siano mai autonomi produttori di tristezza e disperazione.

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