Un mio pezzo uscito oggi, 25 Maggio 2012, per «Gli Altri. La sinistra quotidiana» dove parlo di politica a partire da questo libro.
Che la politica sia altro dal teatrino attuale è cosa, talmente ovvia, che ha davvero poco senso tentare di stupire o commuovere gridando: “la politica è morta!”. In questi giorni, poi, in cui si gioca a definire antipolitico il politico, e viceversa, sembra davvero di assistere ad un aberrante gioco dell’appiccica etichette. Tuttavia, non basta constatare il “vuoto” contemporaneo della scienza della poleis o, perlomeno, non basta un anglosassone “common sense” per comprendere cosa risieda in questa decadenza denunciata da più parti. Questa insufficienza critica deve aver mosso Domenica Bruni, ricercatrice di scienze cognitive dell’Università di Messina, quando ha pensato di scrivere Politici Sfigurati: comunicazione politica e scienza cognitiva (Mimesis, 2012). Qui siamo ben oltre un generico rifiuto della politica che va a mignotte, e il tentativo di ammazzare il “grillo” che passa per i palazzi del potere, non è neanche contemplato. Una tesi percorre il volume in questione – e si fa oggetto delle analisi della natura del mentale applicato al perché del politico: la parte inconsapevole della “composizione spirituale umana”, avrebbe detto Ungaretti, è chiave di volta per decifrare come morale e politica, privato e sociale, siano influenzati dal nostro corredo biologico, ovvero, dai frames incorporati a quella macchina a due zampe, e con poco pelo, che chiamiamo Homo Sapiens. Questi aspetti innati del mentale ci connettono vicendevolmente, ci uniscono profondamente, determinando il senso generale che nobilita l’esistenza stessa della vita etica della nostra specie: una fondazione ontologica della morale umana che, sin dalla scoperta dei neuroni specchio, ha (ri)acceso la ormai spenta idea che se la legge è socialmente costruita, la morale su cui si erge il convivere umano è, al contrario, innata e assoluta come neanche Platone avrebbe mai pensato. Entro questa tesi, che oggi trova un sostanziale appoggio in letteratura, si sviluppa la serrata argomentazione della Bruni che muove dal controllo della comunicazione mediatica, tipico dei politici nostrani, fino al ruolo delle metafore come strumento pervasivo della politica che invece di servire l’altro, rende ogni uomo servo a se stesso. Ma facciamo qualche esempio, che poi è facile annoiarsi. Se esistono argomenti, validi e fondati, a favore di una tesi “altruista” in senso tecnico (cognitivo) per cui, non ce ne voglia Hobbes, l’umano vive per l’altro umano, e solo entro una cooperazione reciproca può sviluppare la propria natura, allora una politica che mira a dividere piuttosto che ad unire, non solo è sbagliata da certi punti di vista, ma è sbagliata in assoluto. Forse non è chiara la potenza di un uso come questo delle scienze cognitive che, entrando nel vasto terreno della teoria politica, sono in grado di garantire all’umano alcune conferme empiriche di intuizioni largamente diffuse. Quando Bossi, o almeno il Bossi pre – ictus che ancora, tra una pernacchia e l’altra, pronunciava qualche parola, invita alla secessione, non sta facendo solo un gesto “poco elegante” per la democrazia italica, ma sta anche violando la natura dell’uomo che trova compimento, ovvero satura i suoi obiettivi, solo e soltanto nella convivenza tra individui diversi – uniti da un unico epifenomeno che chiamiamo “empatia”, e che regola il nostro disgusto per l’abbandono in mare dei “clandestini” o, peggio, per le bombe che innalzano il nostro vessillo contro i civili al suono ossimorico, e francamente ripugnante, di “guerra umanitaria”. Ma c’è di più a violare la natura della nostra specie nelle attuali pratiche politiche. Oggi molto, per non dire tutto, viene regolato da un oggetto sociale che chiamiamo “denaro”. Come tale, ovvero come oggetto sociale, è costruito sulla base di un “testualismo debole” (accetto la teoria di Derrida, of course) e non esisterebbe, al contrario dei sassi o dei mari, se l’uomo scomparisse da questa terra. Ma può, la politica come attività per l’altro da sé, regolarsi seguendo l’andamento del denaro, dei mercati, e di altri fenomeni inventati per servire alle nostre vite ma che ora, capovolgimento deprimente, sono diventati padroni di cui servi sono proprio i loro creatori? Basterebbe guardare “fuori” per comprendere la risposta negativa a questa domanda: se la morale non si sostituisce al verde scolorito delle banconote americane, la politica rimarrà sempre ancorata al “girone della merda” che Pasolini raccontava in Salò, in cui ogni cosa è concessa, coperta da un più o meno sottile velo di Maya che va squarciato per ritrovare la realtà bruta, così com’è al di là dell’ermeneutica. Ed ecco allora comparire, nell’analisi di Domenica Bruni, i frames psicologicamente fondati su cui edificare i rapporti sociali e politici: la morale come benessere proprio in quanto benessere del gruppo cui si appartiene. Si vive insieme, si muore da soli. Ed è qui che risiede, silente e nascosta, una definitiva confutazione dell’egoismo che regola gli sfigurati rapporti di potere contemporanei: inutile – parafrasando il pensiero scientifico di Lakoff in politica – far leva sull’elettorato mostrando l’evidenza di fatti, o presunti tali. Ciò che conta a riuscire a creare, stimolando le innate capacità morali dei singoli individui, rapporti di convivenza e di mutuo soccorso. Fin quando non assoceremo il nostro bene al bene comune, lo “straniero” sarà sempre alle porte. Prima sarà il “negro”, poi il “terrone” e, infine, “la donna”. La scienza cognitiva ci dice che viviamo per “metafore”, e che l’uomo ha bisogno di andare oltre la brutalità del mondo per saturare il bisogno di desiderio che lo contraddistingue dalle altre specie. Cupo, invece, si dipinge il mondo della politica, con i suoi fatti tratteggiati di “violenze cittadine” e di “spread in crescita”: dietro la natura del potere si cela un’opposizione alla natura umana, un’opposizione necessaria per ancorare i cittadini più alla loro radice socialmente costruita, che alla loro animalità. Ma se il rapporto natura/cultura ha insegnato realmente qualcosa, questo qualcosa è che la cultura deve migliorare istinti e intuizioni, e non violarli del tutto. L’umano non è un “lupo tra gli altri uomini”, ma un essere che esiste, parla ed agisce, in quanto immerso in una struttura complessa di altri simili che si completano anche, e soprattutto, sulla base delle loro differenze. Come il linguaggio non può esistere, da Chomsky in poi, per un Robinson Crusoe nato e cresciuto isolato, così la vita può aver senso solo nella cooperazione reciproca tra umani che agiscono perché altri hanno agito e vivono, “come nani, sulla spalle dei giganti”. I politici descritti da Domenica Bruni, li conosciamo bene e li vediamo smanettare nei talk show paraculturali; sono attori di una commedia prevedibile, che mai pensano a cambiare lo stato di cose, ma solo ad amministrarlo. Beh, cari signori, “lentamente muore chi non cambia il certo per l’incerto” e il cambiamento, nella struttura intrinsecamente possibile, è inscritto nella stessa natura di conoscenza umana. Date tempo al tempo, ma ciò che va contro l’uomo spacciandosi per utile e necessario, verrà spazzato via da un’enorme scorreggia.