Flatus vocis. Una recensione di Marco Maurizi

Marco Maurizi, “Recensione a Leonardo Caffo, Flatus vocis. Breve invito all’agire animale“, in Asinus Novus: rivista di antispecismo e filosofia, IV: Maggio 2o12.

Il panorama nazionale e internazionale relativo alla cosiddetta “questione animale” è divenuto notevolmente complesso negli ultimi anni: le pubblicazioni in merito si sono intensificate, raggiungendo livelli notevoli di raffinatezza filosofica e rigore teorico. Flaus vocis, terza opera di Leonardo Caffo, giovane ma promettente dottorando dell’Università di Torino, si colloca nell’ambito di questo crescente interesse per gli animali non-umani e lo fa in modo di verso da quanto l’autore aveva tentato in opere precedenti (pensiamo al testo di esordio di Caffo, Soltanto per loro). Flatus vocis offre al lettore un percorso originale in cui l’interesse per la liberazione animale si intreccia in modo profondo con la passione per la verità e la giustizia, ovvero con i temi classici della filosofia occidentale. In questo senso, Caffo è e vuole essere fino in fondo filosofo: benché il suo impegno di attivista per i diritti animali emerga chiaramente tra le pagine di Flatus vocis, l’urgenza della sua riflessione, satura del dolore e delle voci strazianti degli animali macellati, vivisezionati, umiliati in circhi e fiere, non rinuncia all’hegeliana fatica del concetto, non rinuncia cioè a prendere alla radice le questioni – anche quando ciò può rappresentare un problema per una prassi consolidata e spesso terribilmente inefficace ed in ritardo rispetto agli obiettivi che si pone. Un segno di radicalità che caratterizza la vera riflessione filosofica, verso cui Caffo intende porsi come erede fedele pur nell’assoluta originalità della sua posizione.

In effetti, fin dalle prime battute di un testo che si offre al lettore con il marchio inconfondibile di uno stile che rompe le consuetudini e le aspettative, l’autore precisa che il gesto filosofico che tiene insieme l’esigenza di ripensare il nostro rapporto con la natura non-umana e quella di andare più a fondo sui temi tradizionali della riflessione etico-politica, non può che assumere la forma di un gesto di rottura tanto teorico quanto pratico. E, vorrei aggiungere, linguistico. In altri termini, non si tratta soltanto di pensare il nostro rapporto con gli animali in modo più radicale di quanto sia stato fatto finora (anche da coloro che quotidianamente si battono per i loro “diritti” o magari per la loro “liberazione”), ma anche, e conseguentemente, di ripensare l’umano in modo diverso da quanto fatto finora. E tutto questo non può essere “detto” in modo tradizionale, né nel linguaggio astratto della filosofia tradizionale, né in quello spesso sciatto e meccanico di certa prosa attivistica battagliera che fa del rigonfiamento dei muscoli vocali il misero surrogato di una forza di trasformazione che tragicamente non possiede. Si tratta di altro, ci dice Caffo, si tratta di chiedere di più, tanto alla filosofia, quanto all’attivismo.

Così, all’obiezione che le riflessioni presentate in Flatus vocis sono “scorrette”, forse “maleducate”, dal punto di vista di una discussione “accademica”, l’autore ribatte ironicamente che qui non si tratta forse di “filosofia” in senso stretto e pur tuttavia di pensiero. Qualcosa che troppo spesso la formalizzazione filosofica si lascia sfuggire per inseguire le chimere di un’oggettività senz’anima. Si tratta di ritornare a pensare e, più precisamente, tornare a pensarci animali umani. Su questo paradosso si regge tutto il testo di Caffo, che cavalca un’aporia apparente (pensarci animali) per denunciare le contraddizioni reale che incidono sulle nostre vite in modo silenzioso ma terrificante.

Per fare questo, il testo si offre al lettore come un originale sintesi aperta di riflessioni teoriche critiche (che partono dalla filosofia ma tendendo appunto a negarne la chiusura e l’astrattezza), di frammenti di vissuto (i testi poetici che aprono le singole sezioni del libro e che si pongono in un curioso e straniante rapporto dialettico con esso; senza dimenticare l’impegno etico personale nei confronti della sofferenza animale che caratterizza la scelta vegana qui difesa dall’autore come coerente rifiuto della violenza in ogni sua forma), ipotesi di fuga dall’orizzonte politico attuale verso una società in cui sia finalmente posta fine alla sopraffazione sia nei confronti degli umani che dei non-umani.

Ed è proprio in questo senso è da intendere il richiamo all’agire animale che troviamo nel sottotitolo. Flatus vocis si regge sulla contrapposizione tra cittadino/uomo e azione/atto e cerca di articolare, da qui, il proprio invito all’agire animale. La tesi di fondo di Caffo, infatti, considera la cultura una sovrastruttura che se caratterizza l’umano in certe sue specificità anche positive, dall’altro ci ingabbia in un sistema sociale in cui le scelte e le azioni sono predeterminate, anzi già da sempre previste e prevedibili. Questa dimensione culturale-cittadina si fonda su una dicotomia gerarchica tra umano e animale che è la condizione di possibilità dell’asservimento dell’altro (sia umano che non umano) alle logiche del potere. Il senso stesso dell’azione per il cittadino non può compiersi che dentro la rete dei significati e delle prassi sociali già stabilite di modo che, qualsiasi tentativo di rompere e superare lo stato di cose presenti deve necessariamente qualificarsi nell’ordine dell’impensato e del mai agito. Seguendo una suggestione di Carmelo Bene, Caffo invita dunque a scioglierci dai ceppi dell’azione (prevedibile, finalizzata a scopi immanenti all’ordine sociale vigente) per aprirci all’atto, al gesto che trova in se stesso la propria giustificazione e ragion d’essere e che solo potrebbe contraddire la prassi dominante e dunque, in un certo senso, al di qua di quella dicotomia gerarchizzante tra umano e animale. Il “cittadino” contrapposto all’animale umano è infatti colui che agisce dentro questo sistema di rappresentazioni e di azioni preordinate, secondo una logica del già saputo, del già visto, del già compiuto. Si tratta dunque di entrare nel cono d’ombra di ciò che non può essere qualificato come finalizzato alla riproduzione dell’attuale assetto sociale e che solo in quanto atto dell’animale umano può immaginare e compiere la rottura in grado portarci al di fuori dell’orizzonte del presente e verso un futuro di liberazione effettivo.

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