un mio articolo apparso per Bestie e Sovrani sul quotidiano Linkiesta.
La Sicilia: la più grande delle regioni italiane – da sempre “laboratorio” per comprendere, sperimentando sui suoi abitanti, cosa toccherà all’Italia tutta. Il 28 Ottobre, ormai alle porte, si deciderà a chi affidare la guida di una regione umiliata, piegata ripetutamente dalla mafia, con un analfabetismo diffuso in modo sorprendente rispetto ai tempi che corrono, priva di reali collegamenti ferroviari, con mezzi pubblici imbarazzanti e, diciamolo, con la classe politica in grado di esplicitare, in modo più puntuale e rigoroso – quasi che esercitasse un diritto dell’assurdo – la miseria di questa nostra nazione.
La Sicilia è la mia casa: vivo al Nord da anni, ma non ho scordato l’odore del mare, il sapore di un cielo limpido anche d’inverno e il colore, un rosso maestoso, della lava di un vulcano che simboleggia, quasi che la natura anticipasse i tempi umani, la continua distruzione del siciliano nei confronti dello stesso terreno che gli permette di camminare. A sentire lo scontro tra i vari Miccichè, Crocetta e Musumeci … gli unici, purtroppo, realmente in corsa, vengono già in mente le immagini dei futuri possibili: giunte ignoranti, commissari che si moltiplicano, collaborazioni con il malaffare, e tutta quella vasta gamma di azioni, dal colore nero e dal peso di un macigno, che abbiamo insegnato al Nord che finge ancora, tra Lega ladrona e Lombardia sempre più a forma di trinacria, di essere diverso per i suoi confini con la Svizzera in cui, a Fiorito, solo per dirne una, non avrebbero fatto pulire neanche i cessi del parlamento. Eppure in Sicilia abbiamo imparato a ripartire dopo che qualcuno, e chissà davvero chi, ha deciso di detonare un intero pezzo di autostrada per ucciderne due e colpire tutti, abbiamo imparato – al chiarore di templi di un tempo lontano – che siamo ciò che siamo perché i giganti ci hanno preceduto e abbiamo capito, in questa terra immersa nel mare, che l’Italia non si guarda attraverso la tripartizione “nord, centro, sud” ma con un unico, e più che mai oggi attuale, sguardo d’insieme.
Mentre si discute di cambiamento, o rottamazione quando si è talmente sciocchi da paragonare anime umane a macchine usate, si consuma l’ennesima riabilitazione della politica senza qualità: il 28 Ottobre inaugurerà, come un eterno ritorno da cui riusciamo a sfuggire solo a parole, la conferma del presente. Avvolte, quando ripenso alle “legge dell’appartenenza” di Manlio Sgalambro, che recita la chiamata definitiva degli esuli siciliani in patria, rifletto su quanto sia stabile la mediocrità che hanno vissuto, come un eterno presente, i miei nonni, i miei padri e quella che vivranno, se continuiamo così, anche i miei figli. Si: ho meno di venticinque anni e ho già perso la fiducia nella politica.
Ma non è questo il vero problema: io ho perso la fiducia nei giovani, nei miei simili, e dunque nella politica del futuro, e del mondo che verrà. L’ho persa perché, diciamolo una volta e per tutte, i giovani siciliani, e italiani, di oggi hanno ciò che si meritano: di servizi televisivi in cui i ragazzi dichiarano con candore di non sapere chi è Fiorito, come si chiama il ministro dell’economia, cosa fa un senatore, chi è il segretario del PD, ecc. non ne posso davvero più. Su ragazzi che barattano passioni per l’aridità di un paradigma di produzione ormai spento, che vivono del lavoro del padre e si beano della loro mancanza di passioni ammettiamolo, non possiamo fare affidamento.
La Sicilia, si diceva, è laboratorio dell’Italia e i giovani di questa terra, per speculare induzione, sono le cavie dello Stivale. Vedo masse di persone votare il figlio del precedente presidente che erano le stesse, indignate in passato, per la “trota” in regione, scruto ragazzi catanesi andare in moto in tre senza casco per le vie di Librino e mamme piangere, pregando un Dio fermatosi prima dello stretto, della morte dei figli al rumore di lupara. La politica è stramaledettamente attuale: è un’estensione del meschino. Nel mare di Mondello ancora galleggia il sangue di una generazione, ma noi siamo già pronti a gioire per vittoria dell’ennesimo uomo a una dimensione: della Sicilia farà in modo che si parli con rispetto e che gli onesti, che vivono all’ombra di uno stipendio che scompare, possano solo dire all’uomo del futuro: “mi dispiace”. L’antipolitica non è altro che il volto di una generazione spenta, di università governate dagli idioti, e di ospedali che uccidono per un’anestesia.
La Sicilia può ribaltare, per contrappasso, la sua essenza di laboratorio: non questo ottobre certo, non adesso. Ma giovani siciliani, svegliatevi dal torpore e imparate dall’Etna: e chi non è più neanche in grado di promettere, distruggetelo.
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