Non è che io mi diverta ad andare contro un certo modo di intendere l’animalismo, è che sono abituato troppo bene (o troppo male) da una filosofia che giustifica i suoi assunti di base. Ho letto l’articolo di David Cain, pubblicato qui su Asinus Novus, e dissento fortemente dalla carrellata di opinioni che fornisce, e che io procederò a confutare o, più umilmente, a mettere in discussione. Vado a cena con chiunque, vegani e
non, dunque lasciamo perdere questo punto – che in realtà riprenderò implicitamente a breve. Ho già argomentato in passato – si veda “Il movimento animalista e la prova del cuoco” – contro un movimento che si appiattisce sulle scelte alimentari: “animalista = vegano”. Non va bene, penalizza il messaggio, e depotenzia le istanze di liberazione di un movimento profondamente altruista.
Tuttavia, come spesso capita, ideali buoni diventano false ideologie. Dire che gli animalisti non sono essenzialmente vegani, ovvero non sono un movimento per la condotta alimentare, si trasforma in un pensiero, abbastanza pericoloso, che depotenzia completamente il valore simbolico, reale, e decisivo della questione vegana.
Io sono un vegano.
David Cain fornisce due punti che hanno “rivoluzionato” il suo vivere da vegano, e non da “vegano” (siano maledette le virgolette postmoderne), su cui vale la pena soffermarsi.
- “Sto attento a non mostrare o esplicitare disgusto per il cibo non-vegano” – nulla da ridire, fin qui. Nel senso che uno può provare disgusto per quello che gli pare, come gli pare, e quanto gli pare, non bisogna stare attenti né a mostrarlo né a non mostrarlo: se la merda mi fa schifo, ho una reazione immediata. Allo stesso modo, se la morte mi paralizza, il corpo di un maiale cucinato mi inorridisce. Tuttavia, Cain non è scemo, e sostiene che dovremmo frenare il disgusto per questioni “strategiche” – cito – “vedo questo disgusto come un ostacolo alla diffusione di una vita priva di sofferenza animale”. Falso. Ma non falso perché in sé sia una boiata l’argomento di Cain, ma perché il disgusto è il motore di ogni rivoluzione. Non concordo con la maggior parte delle cose scritte a proposito di Nazismo e Animalismo – e non perché credo che il confronto sia sbagliato – ma perché credo che la Shoah sia una bazzecola rispetto alla questione degli animali. Inorriditivi pure, ma continuate a leggere. Facciamo pure, per bontà d’animo e limiti di spazio, che io prenda per buono il confronto tra olocausto e mattatoio – mi pare ovvio che il disgusto nei confronti dei Nazisti abbia giocato un ruolo essenziale per lo sviluppo delle istanze ebree. I mangiatori di carne non sono Nazisti, non mi permetterei MAI, sono persone che vivono durante il Nazismo Democratico – ne constatano i limiti – ma continuano a vivere nella contraddizione. Non mangiar carne non produce nessun effetto euristico, lo sappiamo – fu Tom Regan, nel 1985, ad obiettare riguardo i problemi di un utilitarismo delle preferenze dinnanzi all’effetto soglia: il coltello dalla parte del manico, e rivolto alla pancetta, è dei carnivori. Non dobbiamo far sentire i carnivori delle “merde”, o guardarli con schifo, per carità. Ma senz’altro non dobbiamo bloccare i nostri sentimenti nei confronti della malvagità del banale che si chiama “macello”. Possiamo tollerare quanto vogliamo persone che vivono nel male istituzionalizzato e si cullano sulla legalità del male, ma mi permetto di dissentire ancora con Cain: io ho scelto di cambiare perché, come disse Thoreau, in Disobbedienza Civile, «questa è, di fatto, la definizione di una rivoluzione pacifica, se una simile rivoluzione è possibile. Se l’esattore delle tasse, od ogni altro pubblico ufficiale, mi chiede, come uno ha fatto, “Ma cosa devo fare?” la mia risposta è, “Se vuoi davvero fare qualcosa, rassegna le dimissioni”. Quando il suddito si è rifiutato di obbedire, e l’ufficiale ha rassegnato le proprie dimissioni dall’incarico, allora la rivoluzione è compiuta». Io mi sono rifiutato di obbedire, e provo pena per chi paga quella tassa che si chiama omicidio indiretto.
Io sono un vegano.
- “Faccio occasionali eccezioni quando si tratta di cibo e non lo nascondo agli onnivori che incontro” – questa è la cosa più grave e orrenda dell’articolo di Cain. In pratica, serve solo a sollevare le coscienze di chi non riesce ad essere coerente. Lo so anche io, cosa credete, che vegani puri non si è mai. Che ci sono i diserbanti e le colture intensive: ma il valore simbolico di obliterare un corpo animale, e poi cagarlo, non è paragonabile all’incoerenza in cui il sistema capitalista comunque ci inserisce – non scherziamo, non banalizziamo un gesto abissale per simbolica crudeltà. Cain adotta questo suo essere “vegan ma non sempre” adducendo tre motivazioni. (a) – per dimostrare ai carnivori che non li disprezza, e immagino che ogni tanto picchi una donna e uccida un bambino per sentirsi più vicino anche ad altre categorie di persone. Come … come? Il paragone non vale, i carnivori sono parte di un sistema, bla .. bla: Stronzate! I carnivori sono gli schiavisti all’epoca di Seneca. Oggi guardiamo con ammirazione chi a quel tempo si rifiutò di sfruttare l’altro da sé – i vegani sono gli antischiavisti di oggi. (b) – per sentirsi meno fuori dal “mondo”. Ma come ti permetti, Cain, di dire queste cose? Hai presente come si sente fuori dal mondo una mucca? Un maiale? Un cavallo? Hai presente che uscire dal mondo di chi toglie il mondo agli animali è l’unico modo che abbiamo per aggiustare il mondo? E (c) – perché così non controlla se il pasto è vegan oppure no, quando va al ristorante che serve panini allo strutto .. vabé, questa è pietosa e lasciamo perdere.
Io sono un vegano.
L’articolo di Cain prosegue poi con un’inarrestabile arringa, no dai, scusate, con un’irrefrenabile elenco di inutilità, tipo che su internet ti pigliano per il culo se sei vegan e, senza fornire dati commoventi, dichiara che i suo stile di vita serve più del mio. Bene, perché la mia è una filosofia di vita, non uno stile di vita. Io non faccio surf, io mi rifiuto di mangiare i miei fratelli: e non come fine, ma come mezzo, affinché un disegno più ampio di liberazione sia possibile e il veganismo, lo ripeterò fino alla morte, è uno spiraglio presente sul futuro – mostra che un altro mondo è possibile.
Io non voglio la carta di identità del vegano, e non voglio il male dei carnivori. Quasi tutti gli amici che amo lo sono. Ma non sono io che mi devo preoccupare delle reazioni di un mondo che offende la vita: io sono vegano perché rispetto tutti, anche coloro che deridono il mio sogno di non violenza dinnanzi al barbecue.
Il veganismo dimostra che possiamo farcela.
Sono cosciente che anche questa rivoluzione si farà nella pluralità dei punti di vista e che il mio, e quello di Cain, non devono necessariamente escludersi. Ma non venitemi a dire cosa devo fare, che dovrei mangiare la pizza a New York e assaggiare il gelato per vivere senza rimpianti … il mio unico rimpianto è sapere che lascerò questo mondo senza aver fatto abbastanza per loro, per gli animali non umani. Almeno lasciatemi gridare che io non mangio la vita animale … lasciatemi dire, ancora una volta che:
Io sono un vegano.

